Mariannina Trentalange, 10 lire ‘na pietanza

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Mariannina Trentalange, 10 lire ‘na pietanza

Care lettrici e cari lettori,

l’anticiclone africano torna a rafforzarsi: un nuovo picco di caldo si abbatte sulla Puglia e sul territorio sanpaolese. Vorrei trovare un rimedio, qualcosa che mi dia refrigerio e sollievo, ma oltre ai ghiaccioli di frutta che mi preparo da sola, non riesco a trovare nulla di più. Mi chiederete se ho acceso il ventilatore? Certo che l’ho acceso, ho anche installato un condizionatore di ultima generazione, ma le correnti di origine sahariana continuano ad avvolgere le mie giornate facendole scivolare in una dimensione lattiginosa e densa che pare dilatarsi all’infinito. Una dimensione che sembra un incantesimo e che mi fa sentire sospesa come le tende che si gonfiano dietro le finestre socchiuse.

Dovrei fare qualcosa d’insolito, qualcosa che mi rinfreschi almeno la memoria. Così decido di andare al bar Fragema per gustare una buona granita e fare quattro chiacchiere con Gianni, Enza, Maria Grazia e Franco su uno dei miei argomenti preferiti: la tradizione gastronomica locale. Con loro scopro sempre qualcosa di nuovo, una ricetta inedita, una rivisitazione di piatti e sapori, di profumi e di gusti gastronomici. Gianni, poi, ha la capacità di far emergere con i suoi aneddoti una sapienza gastronomica che viene dal passato. E siccome le chiacchiere sono come le ciliegie, una tira l’altra, abbiamo cominciato a ricordare le locande e i ristoranti di San Paolo di Civitate. Sapevo dalla pubblicazione I putèche e put’chér (Desaleo.org) che il paese, pur essendo piccolo, fin dai tempi antichi aveva locande nate per il cambio dei cavalli e per dar alloggio ai viandanti, come la “Locanda Civitate” posta subito dopo l’attraversamento del fiume Fortore. Sapevo anche che l’istituzione nel 1928 della strada statale 16, meglio conosciuta come S.S. 16 Adriatica, aveva cambiato il volto urbanistico e sociale del paese, portando un notevole flusso di mezzi e persone che vi transitavano. A San Paolo di Civitate cominciano a nascere luoghi di ristoro e perfino un albergo. Il suo tessuto sociale ed economico sembra vivere un periodo di rinascita. Nel secondo dopo guerra, in via XX Settembre, angolo via Maddalena, viene inaugurata “A locanda du merican”, chiamata così per via del suo titolare, un sanpaolese rientrato dall’America. In via Vittorio Veneto, al piano terra del palazzo Ciaraldi, c’era “U ristorant d Pupett”, cucina casalinga che ospitava gli avventori che transitavano per il nostro paese. All’ingresso nord (quello di Serracapriola), invece, era posizionato il ristorante e albergo Delle Vergini con annesso distributore di carburanti, complesso attivo fino agli inizi del 1980.

A un certo punto della nostra chiacchierata, Gianni mi dice che, prima di questi ristoranti, alla fine del XIX secolo, dove ora c’è la farmacia Russi, c’era la locanda della sua bisnonna Mariannina Trentalange. Mariannina era nata il 25 novembre del 1860, il suo cognome da nubile era Tosiani, ma una volta sposata con Antonio Trentalange aveva assunto, come di norma in quegli anni, il cognome del marito e con tale cognome era conosciuta in paese. La famiglia si era sempre occupata di alimentazione e ristorazione. In via san Nicola 1 avevano un negozio di alimentari con annessa una cantina-locanda.

Gianni, da bravo narratore, fa una pausa prima di ricordarne il nome: “Mariannina Trentalange, 10 lire ‘na pietanza”.  Alle mie orecchie queste parole sono sembrate quasi una formula magica dall’effetto prodigioso. Ho cominciato a immaginare quale aspetto potesse avere la locanda. La cucina doveva essere un gran camerone caldo e pieno di odori dei buoni piatti che Mariannina sapeva preparare. Immagino le pareti tappezzate di casseruole, tegami, padelle e coperchi di rame sistemati in ordine dal più grande al più piccolo. Insomma, un invitante biglietto da visita!

Mariannina me la sono subito immaginata bassina e rotondetta, con gli occhi grandi e il viso serio, poco incline alla letizia, insomma una donna tutta d’un pezzo dedita al culto della famiglia. Una donna dotata di un potere speciale quando si metteva dinanzi ai fornelli. Lì, davanti ai fuochi accesi e a quelle stoviglie luccicanti, doveva apparire una gigantessa, svelta e affabile. Con la cucchiara di legno per le mani, a rimestare i sughi, assaggiare le salse, aggiungervi il sale o il pepe per rendere più sapide le minestre. Forse era un po’ gelosa del suo modo di cucinare e, se qualcuno le avesse domandato quale fosse il segreto della sua cucina, il tono della sua risposta sarebbe stato: “Per far da mangiare occorrono due cose: amore e fantasia”.

Chiedo a Gianni se esista un ricettario delle preparazioni della bisnonna Mariannina, perché sarebbe fantastico per me cimentarmi in qualche sua preparazione, ma Gianni mi risponde che purtroppo non ci sono testimonianze scritte. La figlia di Mariannina, nonna Rosaria, era più incline al commercio alimentare che all’arte culinaria e, sebbene non avesse privilegiato la tradizione della mamma, aveva comunque continuato a portare avanti il negozio di alimentari di via san Nicola con il caratteristico bancone della pasta che a quei tempi si vendeva sfusa.

La granita è ormai finita e il bar comincia a riempirsi di clienti. Le luci del paese sono tutte accese. Dalle case esce l’odore della cena e un venticello leggero rinfresca le strade. Saluto i miei amici e mi dirigo verso casa, pensando che, se Mariannina fosse vissuta nel XXI secolo, chissà, sarebbe diventata una food blogger di successo! Di sicuro rimane il ricordo di una donna forte, creativa, determinata a esprimere il proprio talento. Un talento che è diventato un pezzo di storia locale.

Con questo vi saluto e vi auguro una buona estate con un buon caffè ghiacciato!

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