Ivonetta e Claudina, due giovani donne sanpaolesi del ‘46

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Il 1946 è l’anno del debutto elettorale delle donne italiane. Un banco di prova importate: sono chiamate anche loro a scegliere con un referendum istituzionale tra Monarchia e Repubblica, e a eleggere i membri dell’Assemblea Costituente.

Il ricordo di quell’importante avvenimento storico nazionale è arrivato fino a me filtrato dal racconto di mia nonna Ivonne. Un narrazione semplice, ma che è rimasta impressa nella mia memoria. Quando nonna me lo raccontò la prima volta io potevo avere all’incirca 12 anni e sebbene sia passato un po’ di tempo il ricordo di quel racconto emerge ancora vivido. Il salottino borghese con le sue suppellettili, l’arazzo alla parete, le miniature che adornavano la casa di via Fabio Filzi. Nonna mi raccontava che quella domenica del 2 giugno del ‘46 il risveglio di casa Grimaldi fu caratterizzato da una certa agitazione: Vincenzo (mio nonno) sfogliava nervoso i giornali del mattino per attingere notizie fresche sulle votazioni, Antonio (mio padre, allora quindicenne) non vedeva l’ora di uscire per andare a giocare a pallone, Adriano (mio zio che all’epoca avrà avuto circa un anno) dormiva nella culla). All’epoca dei fatti, in casa Grimaldi viveva anche una sorella di mio nonno, Claudina, non si era sposata ma non era una zitella, era, al contrario, una donna piena di verve e di ironia. Quella mattina lei e nonna si preparavano a indossare il tailleur primaverile, fiere di adempiere al loro dovere civico quando nonno Vincenzo, senza sollevare lo sguardo dal giornale, sentenziò tra una sfogliata e l’altra: «Ivonetta, Claudina, mi raccomando, non mettetevi il rossetto». Loro lo guardarono incredule, perché senza rossetto? E il nonno: «Siccome la scheda deve essere incollata e non deve avere alcun segno di riconoscimento, se vi mettete il rossetto nell’umettare con le labbra il lembo da incollare potreste, senza volerlo, lasciarvi un po’ di rossetto e in questo caso rendere nullo il voto». Nonna e zia Claudina tentarono di controbattere, ma il nonno fu irremovibile, lo diceva il giornale: le donne che si recavano a votare non dovevano mettere il rossetto per non invalidare il voto. All’udire questa raccomandazione nonna e zia Claudina rinunciarono diligentemente al loro momento di vanità femminile. Con o senza rossetto avrebbero comunque votato, si sentivano investite, all’improvviso, di una responsabilità sino ad allora estranea. Per facilitare il compito, il nonno dette loro un facsimile con la croce sul segno da privilegiare. E così nonna e zia Claudina munite di borsetta e carta d’identità scesero lentamente le scale di casa per raggiungere il seggio, chiedendo a nonno Vincenzo di stare attento al piccolo Adriano. Ma proprio quando stavano per uscire dal portone, il nonno si affacciò alla finestra della cucina che ancora oggi dà su via Fabio Filzi chiamandole a mezza voce: «Se u citl si sveglia, che devo fare?». Nonna stava per rispondere, ma zia Claudina fece un piccolo cenno con gli occhi e disse: «Vince’, fratello caro, noi oggi votiamo per la prima volta, non ci rovinare ‘sto momento. Da brave, abbiamo seguito le tue indicazioni per non invalidare il voto. Tu cerca di seguire le nostre, non sono difficili. Se u citl si sveglia, lo prendi in braccio e lo culli e se non si calma gli canti una canzone. Comunque noi mo mo torniamo». Il tono usato da Claudina, era amabile ma risoluto e sembrava non ammettere repliche. Mia nonna alzò gli occhi al cielo, prese a braccetto Claudina e ridendo disse: «Claudina, sei la mia cognata preferita!». Ancora oggi mi sembra di vederle camminare sottobraccio per San Paolo, desiderose di mettere una croce per cambiare il futuro del Paese. Un futuro di cui finalmente erano protagoniste.

Care lettrici e cari lettori, ho voluto condividere con voi questo ricordo familiare perché sono convinta che ripercorrere con la memoria il racconto e il vissuto di Ivonetta e Claudina e cosa abbia significato per loro piegare quel foglio e imbucarlo senza attendere il consenso di nessuno dà senso alla memoria locale, nonché profondità alla Storia nazionale che oggi rischia di rimanere schiacciata sotto il peso di un presente sempre più liquido. Questa narrazione rappresenta per me occasione d’incontro e di dialogo intergenerazionale, vale a dire non una mera trasmissione meccanica dell’evento narrato, ma una condivisione di quell’esperienza. La rielaborazione di quei lessici familiari da un lato mette in luce il senso di consapevolezza di quelle donne, dall’altro lancia una sfida alle generazioni successive. Attraverso quella esperienza, la memoria si fa futuro, diventa forza viva e necessaria di un passato che restituisce senso e direzione al presente.

Buona Repubblica italiana a tutte e a tutti!

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