LE FOSSE GRANARIE
Per “Fossa del grano” si deve intendere un silo scavato sotto terra a forma di tronco di cono, di una larghezza variabile dai 4 a 6 metri di diametro, alla base, e dai 6 ai 10 metri di profondità e con una imboccatura di circa mt.1,20 – 1,40.
La pratica di conservare il grano sotto terra era conosciuta da tempi molto remoti. Nei paesi nordici si usava coprire con terra riportata i cumoli di grano ammucchiati all’aperto. La terra di riporto veniva resa impermeabile con particolari e ripetuti accorgimenti di tecnica agricola.
Nei Paesi del bacino mediterraneo, invece, si usavano fosse da grano; Plinio, nella sua Storia Naturale accennando ai sistemi di conservazione del grano, parla di fosse asciutte e ben chiuse, secondo usi che si praticavano in Cappadocia, in Spagna ed in Africa. In Puglia le fosse trovarono il loro massimo sviluppo per le condizioni favorevoli e l’enorme quantità di grano che si raccoglieva. Si suppone che, stante la vicinanza alle colonie degli insediamenti dei greci nella puglia meridionale tale usanza si sia poi dilagata in tutta l’area adriatica a causa della transumanza che dalla Capitanata si espandeva nelle vicine regioni dell’Abruzzi e delle Marche.
Con l’uso delle fosse si assicurava al grano depositato, anche la salvaguardia da possibili furti. Le fosse si riempivano per i 2/3 della loro capienza lasciando vuota la parte superiore perché in essa si sviluppava , come vedremo, anidrite carbonica. Prima di poter accedere al prelevamento del grano era necessario un periodo di 2 o 3 ore circa, affinché l’anidrite carbonica evaporasse.
Una volta chiusa lafossa, le derrate in essa immagazzinate (grano, orzo, fave), rimanevano ermeticamente isolate dall’atmosfera esterna.
La traspirazione vegetale della massa depositata ben presto esauriva l’ossigeno dell’aria rimasta nel chiuso della fossa, creando così anidride carbonica che procurava la morte di larve e parassiti, infossati vivi con le stesse derrate. L’ambiente diventava sterile e, rimanendo molto fresco, garantiva alle derrate una lunga conservazione, della durata, secondo Varrone, di 50 anni per il grano e di 100 anni per il miglio. Plinio, invece, parla di 120 anni per le fave.
Se la fossa veniva caricata fino all’orlo coperto da tavoloni, in modo che il grano rimanesse a contatto con i tavoloni stessi, si correva il rischio di gravi guasti del prodotto immagazzinato, per mancanza dell’ossigeno necessario alla ulteriore maturazione delle derrate. In tal caso, comunque, le operazioni di svuotamento, ad apertura avvenuta, potevano subito avere inizio.
Se poi la fossa era rimasta per metà vuota (come di regola si usava) risultava pericoloso calare subito sul fondo gli operai addetti allo svuotamento, senza esporli al pericolo di mortale asfissia per la satura presenza di anidride carbonica nell’ambiente Allora si lasciava la fossa aperta per alcune ore e con una funicella, periodicamente, si calava un lume acceso che, in presenza di anidride carbonica, subito si spegneva. Quando il lume non si spegneva più, conservando vivida la sua fiamma, era il segno dell’avvenuta bonifica della fossa, nella quale l’aria, rinnovata dalla prolungata apertura, consentiva finalmente l’inizio delle operazioni di svuotamento.
A tali operazioni procedeva una squadra di “facchini” (ricordiamo a titolo di esempio solo alcuni quali: Minchillo – Ulisse – Del Buono – Caldarella – La Marca – Bux (Alias U Selvagg) D’imperio (alias cavzon).
La squadra presieduta da un “caporale”, addetto alla conta e alla registrazione dei “tomoli” di grano estratti, con appositi cesti, dalla fossa. I cesti (di manifattura degli stessi sfossatori) venivano calati e poi tirati in su, con lunghe funi, da due sfossatori non qualificati, che passavano i cesti pieni al “rasolatore”, il quale portava il grano (versato nel “tomolo”) a livello della misura, con apposita “rasola”. Nel fondo della fossa, addetto al riempimento dei cesti, operava il “vasciarulo” (da vascio = sotto, basso). Negli ultimi tempi, però, allo svuotamento si procedeva meccanicamente, a mezzo di nastri trasportatori tubi snodabili e di pompe a motori. Finito di prelevare tutto il grano il vasciarulo provedeva ai lavori finali di pulizia, e per allestire la fossa ad uso di un successivo reimpiego.
Le fosse aperte in terreni secchi non richiedevano interventi protettivi o cautelativi. Intonaci e rivestimenti interni, oltre che come deumidificanti, servivano a rendere lisce le pareti della fossa, per evitare che nel grano in essa immagazzinato si depositassero anche terriccio e detriti provenienti da scavi lasciati al rustico, appena levigati da sapienti colpi di badile.
E’ noto che agli sfossatori più accorti veniva regalata dagli utenti delle fosse una mancia, chiamata “vino”, quando procedevano al prelevamento del grano, raccogliendolo in modo da ottenere qualità, il più pulite possibile. Le mance venivano incamerate da una cassa comune e ripartite, a fine stagione, in parti uguali tra tutti gli sfossatori di una stessa compagnia San Paolo di Civitate, paese prettamente agricolo, produceva una considerevole quantità di grano. Nel passato, il grano prodotto non veniva consegnato alle cooperative come facciamo oggi, ma conservato quasi per un intero anno. I piccoli produttori conservavano il raccolto per il fabbisogno familiare e la quantità necessaria per la semina successiva. I più ricchi agricoltori lo conservavano in stanze (granai) della casa o del fabbricato, asciutte e pavimentate con lastre di pietra. I grandi latifondisti, che producevano enormi quantità di grano, lo conservavano nelle fosse debitamente costruite, dislocate in spazi facilmente accessibili, in prossimità e spesso prospicenti loro palazzi, anche per poter sorvegliare.
Queste fosse a San Paolo erano dislocate:
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in Largo della Piazza poi Piazza della Rivoluzione successivamente chiamata Piazza XX Settembre ed ora rinominata Piazza Aldo Moro ed erano di proprietà dei LA PORTA – PAZIENZA – GRIMALDI – PETRUCCI
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Largo San Paolo di proprietà dei Pelilli
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Largo Sant’Antonio, poi chiamata Piazza Municipio, di proprietà dei GRIMALDI -PETRUCCI – VENDITTI
Il grano proveniente dalla campagna e trasportato in sacchi di Juta con i Carri ( Train) arrivati in prossimità delle fosse veniva pesato e poi scaricato nella fossa che precedentemente era già stata aperta da alcuni giorni.
Arrivati alla quantità necessaria per la fossa questa veniva chiusa con travi in legno e sopra veniva spalmata sabbia mista a terra ed infine chiuse con coperchi in ghisa e/o ferro.
a cura di Elvero La Porta