Michele GIULIANO – La Festa dei Morti

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La festa dei morti

 

Non è affatto vero che la festa di Halloween sia di origine americana e  che sia stata importata dagli Stati Uniti.

La verità è che questa speciale giornata nasce dalle tradizioni del profondo sud. O perlomeno a me piace pensarla così!

L’antica cultura contadina del meridione ha sempre considerato la morte come la continuazione della vita. Tra la morte e la vita non  c’è una netta separazione, una rottura.

Al contrario c’è comunicazione, continuità a tal punto che i morti seguitano ad avere le stesse necessità che avevano quando erano in vita.

Da queste considerazioni  nasce la tradizione in versione sanpaolése di halloween.

Il giorno della festa dei morti, infatti, noi bambini del paese ci riunivamo in gruppi di tre, quattro al massimo ed usando  indumenti dei grandi e pitturandoci il viso con la “carbonella” ci mascheravamo in modo da sembrare dei defunti.

Fatto questo si concertava tra di noi di andare a far visita ai nostri parenti.

I parenti da visitare si selezionavano con cura  e si decideva di visitare soprattutto quelli più generosi. L’obbiettivo infatti, come si capirà più avanti, era quello di raccogliere una quantità più grande possibile di dolcetti  o monetine in modo che ognuno dei partecipanti ne avesse, alla fine, una parte cospicua.

Ma torniamo a noi! Conciati in questo modo e con una lunga e larga calza incominciavamo il nostro pellegrinaggio tra i parenti dondolando a destra ed a sinistra la lunga calza.

Raggiunta la prima abitazione si “tuzz’lèv” ( bussava ) alla porta  e all’apertura dell’uscio si ripeteva, cercando di fare una voce profonda, “l’an’m i mort…l’an’m i mort”  ( …per l’anima dei morti….per l’anima dei morti…) facendolo tutti in coro.

A questo punto il parente, fingendo di non riconoscerci, ci lasciava entrare in casa.

 

Allora uno di noi attaccava questa filastrocca che veniva modificata di volta in volta  a seconda che la recitasse un maschietto o una femminuccia.

 

Sòng nu pov’r vecchiarèll

Senza trìpp e senza v’dèll

S’  ne m’ dà na cusarèll

Mò m’ mett a jast’mà

 

Vid, vid ‘ndò st’pòn

Ca c’ stà na cosa bbòn

Stà na tàcch de f’lètt

P’ mugghjèr’m  ca stà ‘ndò lètt

 

(Sono un povero vecchierello – senza pancia né budello – se non mi darai qualcosa – comincerò a bestemmiare. Guarda bene nella cucina – ci sta una cosa soppraffina. Una fetta di filetto – per mia moglie malata  a letto!)

 

Alla fine, commosso, il parente ci donava qualcosa di commestibile o in mancanza, qualche monetina da cinque o dieci lire. Si metteva tutto nelle calze e via di corsa da un altro.

Si andava avanti il più possibile anche fino a sera inoltrata. Si riempivano le calze con ogni ben di dio: pupurèt, cav’ciùn,  mèn’l, ficurasicc e pur tanta sold.

A fine giornata ci si sedeva tutti attorno al braciere anzi attorno a u’ vrascér , poggiando i piedi   “sop a u’ ped u’ vrascér” si svuotavano le calze mettendo tutto insieme.

Si divideva tutto in parti uguali e si faceva festa mangiando i dolcetti,  felici anche per i pochi soldini guadagnati.

 

E’ sicuramente  da questa usanza che ha avuto origine la festa di HALLOWEEN !

 

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